Musica per la tristezza

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Esiste la musica della tristezza? E che musica ascoltate, voi, quando siete tristi?

 

Per molto tempo gli psicologi della percezione si sono concentrati soprattutto sugli aspetti uditivi della musica, poi hanno tentato di mettere in relazione emozioni e strutture musicali, arrivando alla ben nota conclusione per cui il modo minore (e in particolare l’intervallo di terza minore) sarebbe quello della tristezza mentre il modo maggiore trasmetterebbe gioia: una certezza in parte smentita con esperimenti effettuati su persone esposte a culture musicali diverse da quella Occidentale, ma che alle nostre latitudini sembra funzionare. Quest’estate un gruppo di ricercatori della Tufts University lo ha ulteriormente confermato con un esperimento molto carino che dimostra come gli attori, nel pronunciare frasi con un tono triste, tendono a eseguire intervalli di terza minore (i più tristi di tutti). Lo studio è uscito su Emotion e qui potete sentire le registrazioni degli attori.

 

musica

 

Ora un ricercatore dell’Università della Florida, ma di origini coreane, Jiyoun Kim, ha cercato di capire quale musica scelgono le persone tristi e se esiste una relazione con il loro stato d’animo.

Per fare questo ha selezionato alcuni brani americani e altri coreani, li ha fatti classificare  in base al “mood” che ispirano agli ascoltatori (brani tristi e brani allegri) e li ha fatti ascoltare a un gruppo di persone felici e a uno di persone tristi.

Ambedue i gruppi mostrano una lieve predilezione per la musica “triste” (effetto che il ricercatore spiega in base alla capacità della musica triste di evocare emozioni più intense rispetto a quella “felice”), ma la novità è che pare che le persone tristi scelgano la musica soprattutto in base alla familiarità. In pratica, anche quando la vita non ci sorride, preferiamo un’allegra canzonetta che ci evoca dei ricordi piuttosto che un brano adeguato al nostro umore ma del tutto avulso dal nostro paesaggio sonoro interiore, come potrebbe essere un brano coreano.

I risultati del suo studio sono stati pubblicati ieri su un numero curioso dell’International Journal of Arts and Technology, interamente dedicato al tema del rapporto tra arte, intrattenimento ed emozioni.

Lo studio di Kim non è particolarmente originale, ma è interessante perché conferma indirettamente altre ricerche recenti, alcune delle quali effettuate con l’aiuto del neuroimaging, e che dimostrano la potenza della musica nell’evocare emozioni. Una potenza in molti casi superiore a quella della parola scritta o alle arti visive e che viene usata anche in alcune forme di psicoterapia.

 

 

 

Inoltre lo studio di Kim mi ha fatto venire in mente altri esperimenti molto semplici e più volte replicati (ne trovate uno descritto qui): se prendete una sala piena di persone, fate loro ascoltare dei brani musicali e chiedete loro di segnare su un foglio che tipo di emozione intende trasmettere il compositore, avrete un risultato molto congruente, con attribuzioni comuni intorno al 90 per cento dei casi. Se però chiedete alle stesse persone di indicare che emozione suscita in loro l’ascolto di una determinata musica, avrete risultati di poco superiori alla casualità (cioè non è detto che una musica triste evochi tristezza).

Per quel che mi riguarda, il mood di una musica non dipende solo dalla tonalità, ma anche da altri elementi, come il ritmo. Da qualche parte ho letto un esempio nel quale mi riconosco appieno, ed è quello della notissima melodia ebraica Hava Naghila (qui cantata in una curiosa versione franco-ebraica nientemeno che da Dalida!) che è minore che più minore non si può ma in me evoca feste, matrimoni e danze sfrenate. Inoltre ho una predilezione per la musica vocale, e non riesco a prescindere dal significato delle parole. Quando sono triste ascolto soprattutto jazz o cantautori, a volte rock (perché c’è della rabbia in quasi tutti i momenti di tristezza) e molta, moltissima musica barocca.

Il brano musicale più triste che io conosca è questo, ma se la gioca con quest’altro che è di tutt’altro genere (e con altre tonalità), a dimostrazione del fatto che i nostri cervelli, in fatto di arte ed emozioni, hanno gusti piuttosto eclettici.

 

Fonte: www.ovadia-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it

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