Psicoterapia di coppia: istruzioni per l’uso

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Al primo incontro di una psicoterapia di coppia la frase che più spesso mi viene detta è “questa è l’ultima spiaggia prima della separazione”. Ora, voi vi potreste far l’idea di una bella spiaggia caraibica, con la sabbia bianca fine e le palme a fare ombra, dove poter riflettere ed analizzare con cura e calma le proprie difficoltà, invece la realtà è che la giusta metafora è quella di due naufraghi in un mare in tempesta, con la barca già affondata, la più che remota speranza di riuscire ad approdare sulla terraferma e spesso, come nella celebre ed inspiegabile scena del film “Titanic”, con l’intenzione di non lasciare aggrappare l’altro sulla zattera di fortuna benché ci sia posto.

 

 

 

A rendere maggiormente complicata la possibilità di essere aiutati, oltre all’inconscio desiderio di non esserlo affatto, o il conscio desiderio di voler vedere affondare l’altro, vi è spesso l’urgenza della richiesta. Mi è capitato più volte che uno dei due coniugi mi chiedesse aiuto dopo aver ricevuto la lettera dell’avvocato divorzista, o dopo essere stato messo fuori casa, o ancora dopo che entrambi avevano instaurato da anni (felici) relazioni extraconiugali. La richiesta di aiuto diventa allora condizionata da un tempo ridottissimo in cui poter lavorare, come se tutti i sintomi del malessere della coppia che sono stati ignorati per anni nella speranza che la situazione si risolvesse da sola, dovessero essere compresi e superati in poche settimane. L’altra situazione tipica è quella del “vengo con mio marito/moglie cosi glielo dice anche lei che è tutta colpa sua”, dove l’idea di una messa in discussione personale da parte di entrambi è inesistente e lo psicoterapeuta è visto solo come il giudice che deve decidere chi ha ragione e chi torto, l’ovvia conseguenza è che se cosi facesse rinforzerebbe il conflitto invece di far cogliere l’opportunità di crescita e cambiamento. Quando, allora, si possono ottenere i benefici maggiori da una psicoterapia di coppia?

Un noto spot pubblicitario diceva “prevenire è meglio che curare”. Il momento migliore è l’inizio dei problemi, quando si comincia ad avvertire che qualcosa turba l’equilibrio della coppia, ma vi è tutta la motivazione, da parte di entrambi, di migliorare la propria relazione. E’ fondamentale che ci sia ancora una sufficiente fiducia ed affetto verso l’altro per poter ammettere le proprie responsabilità senza temere di essere aggrediti sia su un piano fisico, sia verbale, sia psicologico, sia legale.

Inoltre, particolare attenzione può essere posta dopo alcuni eventi di vita particolarmente stressanti che possono essere catalizzatori di una crisi, penso ad esempio alla nascita di un figlio, alla morte di un genitore, al trasloco, alla perdita del lavoro ecc. E’ necessario fare attenzione ad alcuni segnali importanti, i “termometri” del benessere di coppia, come la dimensione del dialogo e dell’ascolto, la capacità di ritagliarsi spazi di attività piacevoli svolte insieme, l’attività sessuale. Nel momento in cui questi elementi scompaiono o si riducono notevolmente è probabile che un aiuto psicologico possa essere utile.

 

Coppie in crisi: numeri e possibili esiti

 

Secondo l’Istat, nel 2014 sono stati celebrati in Italia 189.765 matrimoni mentre le separazioni sono state 89.303 e i divorzi 52.335 (totale 141.638, relazioni terminate), quindi, in termini assoluti, ogni 10 nuove coppie che si vincolano legalmente 7,4 ricorrono alle legge per determinare la loro fine. In termini di durata, le coppie, quando si separano, sono rimaste sposate 16 anni, mentre circa l’11% dei matrimoni si conclude nell’arco dei primi 10 anni. Questi dati impressionanti non tengono poi conto di tutte quelle relazioni durature e profonde che non hanno contratto il vincolo matrimoniale e che sono ugualmente terminate.

I costi economici e psicologici di una separazione/divorzio sono molto alti, ed in caso di figli, questi si accrescono. Per alcuni, la più che probabile ulteriore sofferenza psichica e le necessità economiche costituiscono un deterrente sufficiente a continuare una relazione divenuta disfunzionale, ma paradossalmente spesso non motivano la coppia a ripensare le proprie difficoltà relazionali ed a chiedere aiuto. Ci si trascina quindi spesso in un matrimonio infelice, perché tra due mali si pensa di scegliere il meno peggio, e non si pensa di poter cambiare le proprie dinamiche famigliari, ma solo rassegnarsi a sopportarle.

Come dimostrano i dati Istat prima citati, per molti altri, invece, l’unica scelta visibile è quella del mettere fine ad una relazione diventata fonte di sofferenza. La maggior parte delle coppie pensa quindi in termini dicotomici: restare o separarsi, attacco o fuga, amico o nemico, vittima e carnefice. Questo tipo di pensiero e le scelte che ne conseguono lasciano immutate o quasi, le dinamiche all’interno della coppia, con un copione che si continuerà a ripetere a lungo: le persone in conflitto continueranno ad esserlo sia che si separino sia che rimangano insieme, così come chi si riterrà nel giusto lo continuerà a pensare qualsiasi cosa accada.

Vi è però un altro possibile esito di una crisi di coppia, ossia quello che prevede una presa di consapevolezza del proprio contributo alla costituzione delle dinamiche disfuzionali e nocive e cercare la via del cambiamento. Nell’ottica di un cambiamento verso il benessere, benché solitamente si privilegi salvaguardare la continuità della relazione d’amore, obiettivo della psicoterapia può anche essere quello di accompagnare la coppia nel difficile periodo di separazione, evitando che conflitti irrisolti si trascinino per anni e vengano riproposti nelle relazioni future, o ancora, che siano fonti di sofferenza ulteriore per i figli.

 

 

La gruppoanalisi come approccio terapeutico per la coppia

 

La psicoterapia di coppia è una modalità specifica di intervento psicologico che prevede la presenza contemporanea in psicoterapia di entrambi i partner ed ha come principale obiettivo quello di analizzare, comprendere e risolvere i conflitti nati nella relazione. Essendo una situazione a tre (la coppia più il terapeuta) possono essere facilmente visibili dinamiche gruppali, e sebbene il numero di componenti di una psicoterapia non determina, di per sé, il tipo di orientamento teorico con il quale lo psicoterapeuta intervenga, vi è generale consenso nell’affermare che approcci che considerino la psiche non solo come la somma degli eventi interni gli individui ma soprattutto come spazio relazionale esistente tra di loro, (ad esempio la gruppo analisi, o la terapia sistemico relazionale) siano preferibili ad approcci individualistici.

 

 

 

 

Per quanto riguarda la teoria gruppo analitica, questa vede la famiglia come un gruppo con sue proprie particolarità specifiche di cui la coppia genitoriale è fondante. Il presupposto è che l’interazione di ogni coppia sia il risultato di una serie di livelli di comunicazione, credenze, valori, consci ed inconsci che derivano sia dalla famiglia d’origine di entrambi, sia dalle proprie caratteristiche biologiche individuali, sia dalla situazione del “qui e ora”; Foulkes (1964) le definì reti e matrici. Per chiarire, nell’incontro tra due persone si confrontano, e talvolta scontrano, due mondi: il vissuto personale di ciascuno come individuo unico, le sue esperienze passate, il suo temperamento, ecc.; il modo di pensare, sentire, comportarsi, e simbolizzare delle famiglie d’origine e pertanto l’idea che ciascuno ha, per analogia o per differenza, di cosa debba caratterizzare la nuova relazione.

Questo incontro deve, per essere funzionale, generare una terza dimensione, ossia una sintesi creativa che tenga conto della specificità di quella relazione in quel momento (qui ed ora) e dei modelli di riferimento appresi (là ad allora). E’ il caso che si verifica quando due individui separati aggiungono all’“Io sono” il “Noi siamo” e, in senso gestaltico, diventano qualcosa di diverso e maggiore della somma delle singole parti. Una coppia che funzioni davvero ha trovato il suo modo personale di far convivere la dimensione individuale con quella gruppale; il senso di fusionalità espresso dal “Noi siamo” deve rispettare e valorizzare le differenze individuali e non limitarsi a sopprimerle; allo stesso tempo  l’Io sono non deve essere una barriera al lasciarsi attraversare dall’altro.

E’ evidente, dall’esperienza che ognuno di noi ha della società attuale, che questa sia una meta difficile da raggiungere anche dopo anni di relazione. Avere una relazione stabile può significare anche avere una relazione stabilmente disfunzionale, il solo parametro tempo non è indicativo dello stato di benessere della coppia, anzi a volte il passare del tempo, invece di migliorare il rapporto, finisce per logorarlo. La psicoterapia di coppia cerca quindi di generare una riformulazione del proprio modo di narrarsi e di comprendersi, elaborando quegli elementi che impediscono di trovare una giusta distanza tra individualità e gruppalità, tra Io e Noi.

Spesso sono situazioni non visibili o date per immutabili a chi è coinvolto nelle proprie dinamiche disfunzionali (per la serie, è cosi che abbiamo sempre fatto, è cosi che facevano nella mia famiglia, è così che la mia religione dice che deve essere ecc.). Compito dello psicoterapeuta è quindi quello di rendere nuovamente pensabili e visibili quegli elementi che creano conflitto e disagio nella coppia e promuovere una maggiore presa di responsabilità da parte dei suoi componenti nella risoluzione dei problemi relazionali.

Fonte: www.alessandromonno.it

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